Nessuno sceglie di vivere in una periferia urbana. Se qualcuno ci abita, è perché è costretto dalle circostanze, perché gli affitti sono più bassi, perché i centri urbani sono troppo costosi. Generalmente le periferie, in tutto il mondo, sono brutte. In Italia sono spuntate nell’ultimo secolo abusivamente e senza un disegno, un’impronta architettonica, un’idea di città. In molte metropoli europee, come può constatare chiunque compia in superficie il percorso da un aeroporto al centro di una città, le periferie sono composte di casermoni giganteschi e poco attraenti, uniformi ma esteticamente deplorevoli (fa eccezione Londra). In Italia gli alloggi periferici progettati e costruiti da architetti di grido ma troppo influenzati da un canone di plumbeo collettivismo non sono l’ideale della vita e spesso hanno finito per sprofondare nel degrado. Renzo Piano parla dell’opera di “rammendo” delle periferie. E’ un programma affascinante. Ma prima non bisogna minimizzare l’entità degli strappi che l’incuria, la cattiva organizzazione, una politica incapace di buona amministrazione hanno inferto al tessuto civile e alla vita di un numero elevatissimo di persone incapsulate in periferie invivibili.
Ci vogliono risorse ingenti,ma serve anche coscienza civile
A Roma, per esempio, le periferie sono sporche, male illuminate, abbandonate alla mercè di gruppi di strada che non riconoscono l’autorità dello Stato, I palazzi, fatiscenti. Il manto stradale, deteriorato. I servizi pubblici, desolanti. Non c’è un cinema, un teatro, un auditorium. Neanche i campetti parrocchiali richiamano più i giovani. Le periferie non sono collegate con il centro. I pochi autobus procedono con lentezza esasperante, sono sporchi, malmessi, privi di manutenzione. Di metropolitana nemmeno a parlarne. Le percentuali di non voto sono elevatissime: le istituzioni sono sentite come qualcosa di lontano e inavvicinabile. Il decentramento è solo sulla carta, i municipi assomigliano a una bolgia. Il lavoro di “rammendo” indicato da Renzo Piano implica la possibilità di risorse ingenti. Ma alla lunga si tratterebbe di un grande investimento: creerebbe occupazione, promuoverebbe la rivalutazione della città, l’uso di tecnologie, l’apertura o la riapertura di negozi e centri commerciali dove oggi ci sono solo saracinesche abbassate e sporcizia. Ripulire i tombini di una periferia è, oltre a un dovere civile e a un diritto di tutti, anche un risparmio, perché evita i danni colossali che derivano da allagamenti e inondazioni.
L’idea di una strada pulita è il frutto di una cura quotidiana
Quello che manca è la passione artigianale per il lavoro ben fatto: non le grandi opere gigantesche, ma tanti piccoli cantieri che ridarebbero colore e vita a pezzi di città morta. Manca il gusto della comunità, l’idea che una strada pulita è il frutto di una cura quotidiana. Manca la percezione che il miglioramento degli standard civili di una città fa star meglio tutti. Per cui bisogna “rammendare” le periferie, ma senza isolarle, creando collegamenti veloci, puliti, sicuro con il centro della città. Perché vivere in una città, al centro come in periferia, significa spostarsi con agio e comodità. E’ difficile? Certo che lo è. Ma in altre città, anche molto importanti, il difficile non è diventato impossibile. Basta confrontare cos’erano negli anni Settanta Harlem e il Bronx: la “riqualificazione” urbana è stata qualcosa di molto simile a un grande ed efficace “rammendo”. Ma ci vuole spirito e tenacia, non solo la solita invocazione di “soldi”, “fondi”, “sussidi”, “risorse”. La risorsa più preziosa è la voglia di fare e di non arrendersi.
18 giugno 2014 | 12:51