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Che cos’è una città?

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Che cos’è una città?

Come osserva Max Weber, uno dei massimi studiosi moderni del fenomeno urbano: “tutte le città hanno in comune questo soltanto: che ciascuna è sempre un insediamento circoscritto almeno relativamente”.
L’oggetto iniziale del nostro studio si distingue in prima approssimazione per due soli caratteri: la concentrazione e la dimensione. Il primo è misurabile come densità: sia edilizia (rapporto fra l’edificato e la superficie territoriale) sia demografica (abitanti residenti per kmq). Questo rapporto varia a seconda dei modi di vivere. L’estensione è implicita quando ci si riferisce al territorio di una certa comunità che si presume di dimensioni ridotte. Il numero di abitanti è dunque il criterio più semplice e più diffuso per definire le città e avere una prima, sia pur grossolana, idea della loro importanza.

Città municipali e città estese.
Il fenomeno della città estesa è sempre più frequente ed è la regola per tutte le grandi città, che sono ormai largamente uscite dai limiti delle municipalità originaria di cui conservano il nome. L’espandersi delle città nelle campagne circostanti, fino ad inglobare altre municipalità e a connettersi e fondersi tra loro in un continuo urbanizzato, inizia con la città industriale moderna nelle forme della “conurbazione”. Il termine sta a indicare l’area urbana continua che si forma a partire da due o più città un tempo separate fra di loro da spazi rurali, in seguito alla loro espansione e reciproca fusione.
Quando invece si ha un’espansione a macchia d’olio di un centro urbano che ingloba progressivamente i comuni rurali limitrofi si parla di “agglomerazione”, e si dice “suburbanizzazione” la conseguente crescita di sempre più vaste “corone periferiche” urbanizzate.
Per indicare forme particolarmente estese di città è stata introdotta la categoria di Area Metropolitana, un aggregato di più contee urbanizzate, comprendente almeno una “città centrale” con più di 50.000 abitanti. Le contee limitrofe a quella centrale sono aggregate ad ess 535f55f a se posseggono tre requisiti: una densità minima di popolazione; una certa quantità di occupati in attività extra-agricole; una certa percentuale di abitanti della contea che si reca a lavorare quotidianamente nella contea centrale.

Popolazione e crescita urbana nel mondo
Secondo i dati della Divisione popolazione delle Nazioni Unite nel 1990, 45 abitanti su 100 vivevano in aree urbane. Che cosa spinge la popolazione a trasferirsi nella città o nelle immediate vicinanze di essa?
Anzitutto: il fatto che in un’economia moderna i redditi dell’agricoltura, attività tipica delle campagne, crescono molto meno rapidamente di quelli delle altre attività; in molte regioni dei paesi sottosviluppati il sovraffollamento delle campagne è tale da condannare alla morte per fame una parte della popolazione; nei paesi a economia avanzata l’occupazione nell’agricoltura si è continuamente ridotta perché il lavoro è svolto dalle macchine.
Un altro fattore è più complesso: si tratta di maggiori opportunità di formazione e di ascesa sociale per se stessi e soprattutto per la prole, di livelli più elevati di consumi, di maggiori comodità, più divertimento, vita sociale più intensa. Nei paesi sottosviluppati anche le baraccopoli poste ai margini della città offrono maggiori vantaggi rispetto alle arretrate campagne.
Così le masse rurali continuano ad affluire in città, pur sapendo che pochi troveranno lavoro e molti saranno gli esclusi e gli emarginati.

Urbanizzazione e Rurbano.
Si usa il termine “urbanizzazione” nel suo significato più vasto indicante il recente diffondersi del modo di vita urbano anche a quelle parti del territorio che non presentano i caratteri fisici dell’urbano. Si ha un urbanizzazione in questo senso quando certe caratteristiche culturali, sociali ed economiche che un tempo erano esclusive, o comunque tipiche della città, si banalizzano, diventano cioè alla portata di tutti, indipendentemente dalla località in cui essa risiede.
La “campagna” intesa come genere di vita, forma di insediamento, tende a scomparire. Andando dai nuclei urbani centrali più compatti verso gli spazi rurali, si osserva soltanto una progressiva rarefazione degli edifici, una semplice differenza di densità, mentre le occupazioni, i modi di vita, gli stili architettonici e gli usi del suolo sono quelli delle periferie urbane. Per indicare questi territori un tempo rurali e ora urbanizzati si sono coniate nuove parole come Rurbano o Periurbano.

La Contro-urbanizzazione
B. Berry, che ha descritto per primo questo fenomeno, lo definisce come un processo di deconcentrazione della popolazione urbana che implica il passaggio da uno stato di maggior concentrazione a uno stato di minor concentrazione. Ciò rappresenterebbe l’inversione di una tendenza alla concentrazione urbana che aveva agito quasi ininterrottamente a partire dalla rivoluzione industriale. Alcuni studiosi negarono che il fenomeno avesse il significato di svolta epocale datagli dal suo scopritore. Altri ne fecero un argomento per annunciare l’inizio di un prossimo inevitabile declino urbano, che avrebbe colpito in particolare le grandi città.
Fielding (1989) ridefinì in termini più analitici la contro-urbanizzazione come rapporto di proporzionalità inversa fra tassi di variazione migratoria e dimensione demografica urbana. Secondo questa, in un paese o una regione quanto più le città sono grandi e meno crescono per effetto di movimenti migratori, mentre più i centri sono piccoli e più i loro tassi di incremento migratorio sono elevati. Si dimostrò che la contro urbanizzazione così definita era in atto in tutti i paesi e le regioni industrializzate e in particolare è un fenomeno relativo ai paesi sviluppati, mentre in quelli sottosviluppati è continuata negli stessi anni la concentrazione della popolazione attorno ai centri maggiori.
Nel complesso si osserva che il passaggio dall’urbanizzazione alla suburbanizzazione e poi alla disurbanizzazione avviene prima nelle città dell’Europa nord-occidentale e più tardi in quella mediterranea. Andamenti analoghi si sono osservati in America Anglo-Sassone e in Giappone. Questo passaggio da urbanizzazione a disurbanizzazione è il Ciclo di vita delle città, studiato insieme alla contro-urbanizzazione. Modelli che servono a confrontare fra loro le dinamiche demografiche delle diverse città e a mettere in evidenza che sono in atto mutamenti significativi e regionalmente differenziati.

Il concetto di Funzione urbana
Per funzione di una città si intende un’attività (come il governo, il commercio, l’industria, l’istruzione) che risponde a esigenze sia interne della città sia esterne ad essa. Parlando di funzioni urbane c’è il rischio di dare a questa espressione un significato riduttivo. È vero che certe funzioni come i trasporti, sono necessarie per la vita della città e dei territori circostanti, è vero anche che molte attività del genere sono organizzate intenzionalmente e rispondono a criteri di utilità ed efficienza, ma a ben vedere non sono queste le funzioni più tipicamente urbane. Tra le funzioni urbane troviamo, quelle politiche e quelle culturali creative e innovative, i cui scopi e risultati sovente non sono quelli previsti. Esse possono essere utili o disutili, o rivelarsi utili solo in seguito. Quando, perciò, parliamo di funzioni urbane, dobbiamo limitarci a pensare ad attività capaci di attivare, controllare e mantenere le relazioni culturali, politiche ed economiche di cui è fatta la vita sociale.

Classificazione Funzioni urbane
La classificazione delle funzioni in uso nella geografia urbana combina due criteri: quello del tipo di attività e quello della loro portata o raggio d’azione territoriale.
I tipi di attività vengono attribuiti alla sfera d’azione abituale di certe categorie di soggetti. Così, ad esempio, la funzione culturale è svolta da università, musei, biblioteche, teatri accademie ecc… L’attribuzione delle varie funzioni a determinati soggetti è anche esigenza pratica per chi vuole osservare e descrivere le funzioni urbane.
Per quanto riguarda la portata delle funzioni urbane, si utilizzano certe classi di dimensione territoriale: ambito microregionale (unità di quartiere, città, comune urbano, area metropolitana), ambito regionale (provincia, regione, aggregato di regioni), ambito macroregionale (Stato, insieme di stati, regione continentale o intercontinentale).

Funzioni locali e Funzioni esportatrici
Dal punto di vista degli scambi distinguiamo innanzitutto le attività locali da quelle non locali. Tutte le attività urbane locali, quelle cioè il cui raggio d’azione non va oltre l’immediato intorno territoriale della città, hanno la funzione di consentire il mantenimento e la riproduzione della città stessa. Esse consistono cioè nella produzione di beni e servizi che vengono “consumati” localmente e che assicurano la sussistenza della città.
Tutte le altre attività che hanno un raggio d’azione da regionale a internazionale, appartengono in qualche modo al secondo genere di attività, quelle non rivolte a un consumo locale, ma esportatrici. Attività esportatrici, non rivolte direttamente al mercato, finiscono poi per contribuire all’attivo del bilancio urbano. Ad esempio, la presenza di ospedale o di una base militare comporta un flusso di denaro pubblico che entra nella città e viene speso.

Città Specializzate
Le città possono essere classificate a partire dalle loro funzioni con portata non esclusivamente locale, cioè in base alla loro attività “esportatrici”.
Nell’ambito di funzioni culturali riguardano: Città d’arte, Città Universitarie, Città Sacre (Gerusalemme).
Nell’ambito delle funzioni direzionali: Città Capitali (non tutte ma quelle specializzate in questa funzione); Città Stato (Principato di Monaco); Città Militari (che vivono intorno a fortezze e basi militari, Gibilterra); Città Finanziarie.
Nell’ambito delle funzioni produttive: Città Industriali; Città Minerarie (assai numerose all’epoca della rivoluzione industriale); Città Pioniere (centri che sorgono nelle retrovie di una frontiera di sfruttamento di risorse primarie diffuse); Città Tecnopoli (città sorte recentemente attorno a poli tecnologici: Silicon Valley)
Nell’ambito delle funzioni distributive: Città Portuali, Città Gateway (o del commercio internazionale: Shanghai); Città Mercato; Città Turistiche.
Esistono anche insediamenti che pur non avendo funzioni propriamente urbane, si distinguono per avere dimensioni nell’ordine delle migliaia di persone. Sono le Città Contadine.

Città Multifunzionali
Accanto a città che esercitano prevalentemente una funzione, esistono casi ancor più numerosi di città piccole e grandi in cui non c’è una funzione nettamente prevalente, ma un insieme più o meno equilibrato di funzioni. Ci sono città Nodali (prevalenza di funzioni direzionali e distributive); Università e Industria; Pubblica amministrazione e Istruzione superiore; Manifatturiere e Militari (San Diego); Vacanze e Pensionati (Honolulu e Orlando).

Metropoli e Città Globali
Se sono relativamente poche le città che presentano la gamma completa o quasi delle funzioni, sono ancor meno quelle che, oltre ad averle tutte, le esercitano a livello macroregionale. A queste ultime spetta il nome di metropoli, mentre le poche metropoli o regioni metropolitane con raggio di influenza a scala planetaria vengono dette città mondiali o città globali.
A.D. King nel 1990 sancisce alcuni Caratteri di queste città globali: elevata specializzazione e divisione del lavoro spinta; stabilità e permanenza nel tempo; grande differenziazione interna culturale, etnica, sociale; nodi primari di infrastrutture di trasporto e di comunicazione; ambiente urbano di elevata qualità culturale, fisica e architettonica; forte polarizzazione sociale ossia molti ricchi e molti poveri.

Il moltiplicatore urbano
Nelle città dei paesi industrializzati un rapporto diretto fra occupazione e popolazione può essere assunto come regola generale. Occorre distinguere le due componenti dell’occupazione urbana: Attività di base o esportatrici (quelle rivolte a soddisfare una domanda di beni e servizi esterni alla città) e Attività locali o al servizio della città (quelle che producono beni e servizi per la domanda interna), queste sommate insieme formano l’occupazione totale della città. Il moltiplicatore della popolazione urbana è dato dalla Popolazione Urbana fratto l’Occupazione Totale della città.
Nelle diverse realtà urbane i valori di m (moltiplicatore urbano) possono variare di parecchio, in relazione soprattutto al tasso di attività della popolazione (rapporto tra popolazione totale e occupata), ai tassi di disoccupazione o sottoccupazione locale, alla pressione migratoria esterna. Il moltiplicatore però può anche funzionare in negativo, nei casi di crisi, in cui si riduce l’occupazione nelle attività di base.

Composizione Sociale
Come ogni popolazione, anche quella urbana presenta una componente attiva, formata da quelli che svolgono stabilmente un lavoro retribuito, e una non attiva, che comprende tutti gli altri, compresi quelli che esercitano lavori precari, illegali o comunque non riconosciuti dalle statistiche ufficiali.
A scala mondiale, i tassi di attività delle città sono proporzionali al grado di sviluppo economico. Sono quindi minimi nelle città dei paesi sottosviluppati. Nei paesi industrializzati i tassi di attività sono mediamente più alti nelle città industriali, che nelle città terziarie. In genere nei paesi sviluppati il tasso di attività sale passando dalla città centrale alle corone suburbane per poi scendere di nuovo nelle zone rurali.
Nei censimenti italiani analogamente ad altri paesi europei, la popolazione è divisa nelle grandi categorie di: Imprenditori e Liberi professionisti; Dirigenti e Impiegati; Lavoratori Autonomi; Operai e Salariati. I processi recenti di concentrazione delle attività terziarie superiori nel cuore delle grandi città hanno avuto come conseguenza la crescita relativa delle classi sociali più ricche, più istruite, quindi più propense ai vari tipi di consumi e più sensibili alla qualità dell’ambiente urbano.

Mosaici Etnici
La composizione multietnica è da sempre un carattere che distingue le grandi città. Nell’età contemporanea tale carattere si è rafforzato. Ciò è dovuto al fatto che le città sono state, nell’ultimo secolo, le principali destinatarie dei grandi flussi migratori internazionali. Ciò si è verificato fino dall’Ottocento nelle grandi città americane e poi in quelle australiane. Tra XIX e XX secolo in molte città coloniali si ebbero cospicui insediamenti di popolazione europea, sia in paesi di antica urbanizzazione come l’India e l’Algeria, sia in paesi di nuova urbanizzazione come l’Africa centrale e Meridionale, in particolare dappertutto le comunità europee vivevano nettamente separate da quelle indigene e di altri immigrati di colore. Nella prima metà del XX secolo e ancor più nella fase di decolonizzazione, masse di popolazione africana, asiatica e caraibica si stabilirono nelle città dei paesi ex coloniali, soprattutto Gran Bretagna, Francia e Paesi Bassi. Contemporaneamente lo sviluppo dell’industria nei centri dell’Europa nord-occidentale richiamò flussi di immigrati dalle campagne dell’Europa meridionale e orientale.
A partire dagli anni settanta i tradizionali flussi migratori per lavoro verso le città dei paesi industrializzati si riducono, o a volte si arrestano e si trasformano in flussi di immigrazione clandestina. Nelle città del Terzo Mondo prevalgono invece tuttora le stratificazioni etniche e etnico religiose formatesi in un passato più o meno remoto.

Segregazioni e Ghetti
Le minoranze etniche all’interno della città tendono alla segregazione. Per tale s’intende una distribuzione spaziale non uniforme rispetto al resto della popolazione. Le etnie più separate sono quelle afroamericane nelle città degli USA, ad esse seguono i latino-americani e gli asiatici, sempre in USA. Nelle città europee africani e asiatici sono meno segregati che nelle città statunitensi.
La segregazione etnica urbana viene spiegata con cause esterne e interne. La causa esterna fondamentale è il pregiudizio razziale e il più generale rifiuto del “diverso” che viene amplificato dalle sue conseguenze economiche, cioè la valorizzazione di immobili e quartieri in cui compaiono i “diversi”. Gli esclusi tendono così a concentrarsi nelle poche parti della città dove tale resistenza è più debole o dove addirittura la vendita e l’affitto di abitazioni degradate diventa un affare.
Nelle sue forme estreme la segregazione etnica prende la forma di Ghetto. Il ghetto è caratterizzato da meccanismi circolari cumulativi che tendono a mantenere e aggravare la segregazione etnica. Nelle formazioni dei ghetti neri degli USA, il primo meccanismo è quello del mercato immobiliare: quando in un quartiere i neri superano una certa percentuale, inizia una corsa dei proprietari a disfarsi delle case, e degli inquilini bianchi a trasferirsi altrove. Subentra un fattore fiscale: siccome le comunità nere sono nel complesso povere, il gettito fiscale dei municipi e delle contee si riduce, servizi e infrastrutture si deteriorano perché gli enti locali non hanno le risorse per mantenerli.

Famiglie e condizione femminile
La città moderna si distingue anche per la struttura della famiglia, per la composizione per età della sua popolazione e per le condizioni di vita delle donne, dei giovani e degli anziani. In città il numero di componenti dei nuclei familiari è in media molto ridotto soprattutto per l’elevato numero di persone singole e la presenza di nuclei familiari monoparentali. In città le famiglie sono “ristrette” anche perché sovente non comprendono gli anziani. Per molti di essi, specie se non ricchi, la grande città è un ambiente difficile, a cui si preferiscono i centri minori.
La città è spesso vista come luogo di emancipazione femminile dal ruolo tradizionale di madre e casalinga. Ciò è almeno in parte confermato dal fatto che le possibilità di impiego femminile in città sono più ampie e i tassi di attività femminile di regola più elevati. Studi recenti hanno però messo in evidenza come la vita femminile in città continui a essere condizionata dal ruolo. Infatti nelle società urbane le donne dedicano al lavoro casalingo e alla cura dei bambini, tre volte il tempo degli uomini.

Malessere e violenza
All’origine dell’urbanistica moderna troviamo la necessità di risolvere i problemi posti dalle sacche di povertà, degrado fisico e morale, malattie, che si andavano formando a contatto con i quartieri della ricchezza, della cultura e della grande architettura monumentale. Ancora oggi nella maggior parte delle grandi città del Terzo Mondo non esistono condotte d’acqua potabile, la mortalità infantile raggiunge il 60%, le epidemie si diffondono rapidamente. Nelle città dei paesi sviluppati questi fenomeni si sono enormemente ridotti nell’ultimo secolo, anche se possono ripresentarsi in certe sacche di degrado sociale in città come Napoli, Belfast o Liverpool. Esistono poi, anche nelle situazioni urbane più avanzate, delle “malattie ambientali” dovute principalmente all’inquinamento dell’aria. Ma è soprattutto l’AIDS che rivela una prevalente e rapida diffusione urbana. È stata inoltre dimostrata una correlazione, nelle città, fra ambiente urbano e alcune malattie mentali. Anche l’abuso di Droghe che danno dipendenza fisica, come eroina, cocaina, crack, alcool, è un fenomeno che presenta particolari concentrazioni in città.
Un aspetto ben noto del malessere urbano è la criminalità. Le statistiche confermano fin dal secolo scorso l’opinione corrente che la criminalità cresce in proporzione diretta con la dimensione urbana, con massimi nei paesi del Terzo Mondo come il Brasile e, fra i paesi sviluppati, negli USA. Essa ha una sua geografia all’interno delle città. In particolare si presenta concentrata in certe aree, sia quelle in cui vivono i delinquenti abituali o occasionali, sia, specie per i furti, quelle frequentate dalle loro vittime potenziali.

L’ecologia sociale urbana
La città si comporterebbe, secondo alcuni studiosi, come un sistema ecologico naturale in tendenziale equilibrio, formato da zone concentriche in ciascuna delle quali le varie attività, fasce sociali e subculture troverebbe la propria collocazione più adatta. Ognuna di esse si espanderebbe cioè in quella esterna adiacente, con processi di “invasione” e “successione” simili a quelle che si possono osservare in natura nella dinamica delle associazioni vegetali e animali.
Il modello per cerchi concentrici finì per imporsi come uno schema generale di riferimento, esso permise di articolare il semplice schema centro-periferia, favorendo la raccolta di un’ampia documentazione descrittiva e comparativa. All’idea delle zone naturali circolari subentrò quella delle “aree sociali”, intese come aree socialmente omogenee, capaci di rivelare con la loro diversa articolazione spaziale e la loro trasformazione la struttura delle interazioni e dei processi sociali tipici delle città.

I caratteri naturali del sito
Per Sito di una città si intende il luogo geografico in cui la città si è sviluppata, con le sue caratteristiche naturali: geomorfologiche, idrologiche, climatiche e biogeografiche (flora e fauna). Il concetto di sito ha anzitutto un valore storico, in quanto connesso con l’origine dell’insediamento e con il suo successivo sviluppo.
La Morfologia, intesa come plastica del suolo, determina le grandi linee del paesaggio urbano. I siti completamente pianeggianti (come Milano) sono relativamente rari. Vi sono città che al contrario sono cresciute su sommità, sproni e versanti di rilievi anche molto energici e contrastanti: sovente si tratta di città storiche (Perugia, Orvieto…).
Altri caratteri fisionomici di primaria importanza derivano dell’idrografia. Vi sono città costiere che sono cresciute in un ambiente anfibio, formato da isolotti, insenature, promontori, che conferiscono un’impronta marcata a tutto il paesaggio urbano. I fiumi, con gli estuari, i delta e le lagune a cui danno origine, caratterizzano varie tipologie urbane. Ancor più dipendenti dalle acque sono molte città di estuario e quelle di delta.
Le condizioni climatiche naturali hanno accresciuto col tempo la loro importanza. A parte le città a vocazione turistica, nei paesi più sviluppati si nota una crescente attrazione di imprese e popolazione (Montpellier, la costa pacifica degli Stati Uniti…).
Fra i caratteri naturali del sito sono compresi infine i rischi derivanti dalle calamità naturali. La città, per la sua alta densità di popolazione e di capitale fisso, è un ambiente ad altissima vulnerabilità. I rischi più gravi derivano dai Terremoti. Si è calcolato che un terremoto catastrofico in grandi centri finanziari come Tokyo e Los Angeles potrebbe dare origine a una crisi economica mondiale.

Clima urbano
Oltre ad avere il clima naturale del sito in cui sorgono, le città modificano le condizioni atmosferiche locali creando un clima specifico detto clima urbano. La temperatura nelle aree urbane delle regioni temperate è di 1-3°C più elevata che nel territorio circostante non urbanizzato. Ciò dipende dal fatto che l’energia prodotta per combustione genera calore che si disperde nell’atmosfera. Il maggior inquinamento dell’aria riduce la radiazione solare al suolo, ma il cemento presente rilascia più lentamente il calore.
Le precipitazioni sono normalmente più intense sulle città, poiché la vegetazione è ridotta e le coperture impermeabili assicurano un rapido deflusso delle acque. L’emissione di fumi invece tende ad accrescere la nebbia e a formare lo smog.

Il Verde urbano
L’espansione urbana ha quasi eliminato i caratteri originali della vegetazione. L’elevato valore del suolo urbano ha fatto sì che la conservazione o creazione di aree verdi all’interno delle città fosse considerata un lusso riservato a categorie privilegiate quali i nobili e gli ordini religiosi, le cui riserve fondiarie, passate poi al demanio pubblico, sono all’origine di noti parchi urbani e suburbani di oggi.
In generale si può dire che lo sviluppo urbano moderno confermò il principio della separazione della campagna dalla città e ciò generò fin dal secolo scorso una forte spinta verso la villeggiatura e l’impianto di residenze secondarie da parte della popolazione urbana.
A partire dagli anni settanta si registra ovunque una maggior sensibilità verso il verde urbano. Prende anche piede l’idea del verde urbano come rete o “sistema” di luoghi di ricreazione a diversa destinazione funzionale collegati fra loro da percorsi anch’essi “verdi” (piste ciclabili, percorsi da sci di fondo…)

Le Abitazioni
La casa è l’unita ambientale elementare della città. Offre un riparo ai suoi occupanti, si estende su una porzione di suolo, dev’essere dotata di certe infrastrutture fisiche (vie d’accesso, acquedotti, fognature..) e situata in modo da permettere un agevole accesso ai servizi elementari. La casa è normalmente considerata un bene non escludibile, ciò significa che accanto a un mercato della casa e a forme di produzione private, vi sono di regola modalità pubbliche di produzione e di distribuzione di questo bene.
Nelle città la casa presenta caratteristiche e problemi specifici, derivanti: dal maggior costo del suolo; dal maggior numero di famiglie con capacità di spesa inferiori ai prezzi di mercato; dall’afflusso continuo di immigrati anch’essi poveri; dal sovraffollamento; da maggior mobilità residenziale delle famiglie e da una percentuale di abitazioni in affitto superiore alla media.
Il valore del suolo urbano non dipende generalmente da suoi caratteri naturali, in generale esso dipende dalla posizione, cioè dalle esternalità positive o negative di cui fruisce chi vi si insedia: accesso ai servizi, livello dei trasporti pubblici, sicurezza, qualità architettoniche…
Le esternalità della posizione sono in parte un dato a cui costruttori e abitanti si devono adattare, in parte possono essere prodotte dagli enti pubblici, con le infrastrutture e le normative di uso del suolo o dai promotori immobiliari. Nelle posizioni migliori verranno quindi di regola costruite case di lusso e in quelle peggiori le case di minor qualità. Fra queste vanno comprese normalmente le case di edilizia pubblica.
Nelle città europee esistono di regola vasti “centri storici”con complessi di edifici di valore artistico. La regola è il restauro degli edifici, anche a uso residenziale. La centralità della posizione, unita ai costi elevati del recupero, li orienta verso le fasce alte del mercato.
Ancora nelle città europee si osservano isole di sviluppo “anomalo” rispetto al modello spaziale a cerchi concentrici della rendita urbana. Si sono realizzate all’estrema periferia case o interi quartieri di edilizia pubblica. Questi nuclei vengono poi raggiunti dall’espansione urbana successiva e inglobati nel tessuto urbano.

Città Ecosistema
In generale un ecosistema è un insieme di popolazioni vegetali e animali e delle relazioni che questi hanno fra loro e con le componenti fisico-energetiche dell’ambiente in cui vivono. La città può essere pensata come un ecosistema solo se teniamo presente un suo carattere fondamentale, che la distingue dalla maggior parte degli ecosistemi naturali: quello di essere un sistema aperto, in costante squilibrio energetico con l’ambiente esterno.
Il cibo rappresenta sin dall’antichità il principale flusso energetico della città, limitandone così le dimensioni in relazione alle potenzialità produttive del territorio circostante e all’organizzazione dei trasporti, che permetteva rifornimenti su più lunghe distanze.
Il consumo di energia e di materiali comporta la produzione di rifiuti che, accumulandosi, porterebbero al blocco dell’ecosistema urbano. Esso deve perciò sempre più organizzarsi per smaltirli o riciclarli. Quanto più una città diventa grande, tanto più sarà complessa la sua organizzazione, tanto maggiore sarà il flusso di energia che dovrà ricevere dall’esterno.

Qualità dell’ambiente e della vita
Tutti sono d’accordo nel ritenere che esistano quartieri migliori degli altri, quando però si passa a valutare i singoli casi, e soprattutto cercare criteri di misura generali, intervengono valutazioni soggettive diverse.
Nonostante ciò si sono tentati confronti fra quartieri e città basati su indicatori “oggettivi” e si sono fatte graduatorie basate sulla frequenza delle valutazioni soggettive ottenute intervistando campioni di abitanti. Fra gli indicatori: 1) condizioni abitative: qualità della casa, luminosità, affollamento, privacy, accesso ai servizi primari, accesso al trasporto pubblico, accesso a spazi verdi pubblici.     2) condizioni fisiche: traffico, rumore, inquinamento atmosferico 3) condizioni di vicinato: segregazione etnica, criminalità 4) paesaggio: qualità architettonica e urbanistica, riconoscibilità dei luogi (monumenti, emergenze, colori…), arredo urbano, caratteri del sito.
Attribuendo punteggi a questi vari indicatori e sommandoli per ogni unità di vicinato, si ottiene per l’intera città una distribuzione di valori che nei paesi industrializzati può discostarsi da quella dei valori economici.
Di ancora più difficile interpretazione sono le misure della qualità della vita urbana, in quanto ancor più basate su valutazioni soggettive che dipendono da differenti ideologie urbane e come tali sono soprattutto utilizzate nel dibattito politico e nelle pubblicità immobiliari.

Il milieu urbano
La città è anche un “ambiente” più o meno favorevole per l’impianto e lo sviluppo di quelle attività di base che assicurano, come abbiamo visto, lo sviluppo urbano. L’ambiente urbano viene indicato nella letteratura internazionale col termine francese “milieu”, che significa il mezzo in cui sono, per così dire, immersi certi oggetti e attraverso cui interagiscono. Esso comprende tutte quelle condizioni locali naturali e culturali atte a sostenere processi di sviluppo urbano, e non producibili all’occorrenza, in quanto non si formano alla scala temporale di tali processi, ma solo nel lungo periodo. Si tratta cioè di risorse ambientali potenziali o latenti che si sono accumulate e sedimentate nel corso della storia e che offrono un generico “substrato fertile” alle diverse attività e funzioni urbane. Esempio: abbondanza del suolo pianeggiante = minori costi di insediamento e trasporti; presenza di istituzioni locali di consolidata tradizione, come università, musei, biblioteche = facilità di impianto e sviluppo di attività innovative e creative e facilità di reclutamento e lavoro qualificato; una buona immagine esterna della città = effetti positivi sulla pubblicità di marchi e prodotti e sull’attrazione di nuove imprese.

Uso del suolo urbano
Questo deriva dal calcolo di Von Thunen sull’uso agricolo. Ogni soggetto, a seconda degli usi del suolo che si propone ricaverà, dai diversi luoghi della città, utilità diverse in relazione alla posizione di questi ultimi. Tali vantaggi di posizione vengono ricondotti a un fattore generale di accessibilità: l’utilità che si può ricavare dall’uso di un luogo dipende dalla facilità con cui da detto luogo riesco ad accedere a tutti gli altri e viceversa.
Considerando lo spazio urbano come omogeneo e isotropo, l’accessibilità presenta un valore massimo nel centro geometrico dell’agglomerazione e valori via via decrescenti allontanandoci da esso verso la periferia. A questo punto è chiaro che tutti o quasi i soggetti urbani vorrebbero stare al centro, cioè nel luogo dove essi trarrebbero il maggior vantaggio dalla localizzazione. Ma di fronte a questa “domanda”, l’offerta di spazi centrali è necessariamente limitata, per cui il loro prezzo sarà particolarmente elevato. Le imprese che cercano una sede, saranno disposte a pagare un prezzo tanto più alto quanto più alti sono i vantaggi che potrà ricavare per mq da una posizione più centrale, cioè più accessibile.

Varianti del modello
Il modello visto, ci fa capire come funziona nelle grandi linee il mercato del suolo urbano, ma rimane ben lontano dalla reale geografia dell’uso del suolo. Abbandonando l’idea dell’isotropia ci accorgiamo che l’accessibilità aumenta lungo le maggiori arterie che si irradiano dal centro: vedremo allora che i cerchi si trasformano in qualcosa di simile a stelle, con tante punte quante sono gli assi di grande comunicazione che convergono sul centro. Più sovente si osserva che lungo tali assi si formano settori radiali con determinante specializzazioni funzionali.
Possiamo poi abbandonare l’idea che lo spazio urbano sia omogeneo per considerare che in esso la natura e la storia abbiano introdotto certe differenze significative con effetti sensibili sul prezzo del suolo. Possiamo avere aree morfologicamente favorite, aree con caratteri storico-architettonici di pregio particolare, o al contrario aree di degrado, di segregazione etnica o più soggette a inquinamento atmosferico.

CBD e nuclei periferici
La sigla CBD (Central Businnes District), corrisponde all’italiano “centro degli affari”, o più in generale a “quartiere commerciale centrale”. Nelle metropoli esso è formato anzitutto da un ricco nucleo di attività quaternarie: sedi di grandi imprese, sedi di giornali e reti televisive, banche, compagnie di assicurazioni, istituzioni finanziarie come le borse, uffici del governo, servizi pubblici di più alto livello (ambasciate, uffici giudiziari), biblioteche, teatri, sedi centrali di università. Nel CBD troviamo le attività che traggono i massimi vantaggi economici e di immagine dall’accessibilità e dalla centralità, nonché dalla vicinanza reciproca che favorisce i contatti al massimo livello tra operatori economici, amministratori pubblici e fornitori di servizi qualificati.
Negli ultimi decenni si assiste a un tendenziale decentramento di attività un tempo proprie del CBD verso le localizzazioni periferiche e suburbane e riguarda sia attività di tipo direzionale (ad esempio sedi centrali delle grandi imprese automobilistiche) sia certi grandi complessi commerciali, di servizi e di divertimento detti “shopping malls” (passeggiate commerciali).
Di regola il decentramento del CBD avviene attraverso operazioni urbanistiche programmate e concertate tra grandi operatori immobiliari e amministrazioni pubbliche. Occorre ricreare localmente condizioni simili a quelle del CBD: infrastrutture che assicurano un alto grado di accessibilità e dimensioni del nucleo periferico tali da dare origine a economie esterne di agglomerazione. Il decentramento del CBD è dunque in realtà  un processo di ricentralizzazione periferica e non di semplice diffusione.

L’industria nelle città
Gli spazi industriali di recente dismissione risalgono in gran parte al periodo compreso fra la fine dell’800 e la prima metà del 900, epoca in cui l’industria ha scelto la città, attratta soprattutto dalle economie di agglomerazione e dalla conseguente formazione di un mercato vasto e differenziato della forza lavoro e dei servizi. Si tratta di un industria leggera: meccanica, elletro-meccanica, chimica. Seguendo il modello generale dell’uso del suolo urbano, gli stabilimenti industriali si collocarono in posizioni periferiche e di margine, ma i processi circolari cumulativi dell’agglomerazione industriale facevano crescere le città, che dilatandosi inglobava via via le fabbriche.
I processi deglomerativi che tra gli anni ’70 e ’80 resero obsoleti questi grandi impianti crearono all’interno delle città grandi vuoti, che oggi si presentano come aree strategiche per il ridisegno della città e soprattutto per l’eliminazione dei margini e delle barriere che la segmentavano.
Le nuove industri appartengono invece ai settori tecnologicamente più avanzati come l’elettronica, l’aeronautica, la chimica fine, le biotecnologie. La loro localizzazione urbana è dovuta agli stretti rapporti con il settore della ricerca, all’esigenza di accedere a un mercato del lavoro molto qualificato e al ruolo decisivo delle comunicazioni veloci.

La rete dei trasporti
I trasporti urbani formano il tessuto connettivo che assicura il funzionamento della città e ne condizione l’efficienza. Esaminiamo due modelli fondamentali di rete di trasporti: quello della rete radiocentrica e quello della rete multipolare o a griglia.
Il primo eredita lo schema della città pre-industriale europea come centro di mercato e di coordinamento territoriale verso cui convergono a raggiera le vie di comunicazione. Dilatandosi, la città segue questa maglia radiocentrica che diventa così la rete principale della sua mobilità interna e viene rafforzata dalle prime linee di trasporto pubbliche: ferrovie metropolitane e tramvie urbane. In un secondo tempo la raggiera di strade e ferrovie viene collegata tangenzialmente da anelli periferici che consentono di muoversi tra i vari quartieri evitando di passare per il centro. Questi raccordi tangenziali si moltiplicano con l’avvento del traffico automobilistico (raccordo anulare a Roma). Tutta via hanno dei limiti dovuti al fatto che il traffico tende a essere sempre più congestionato e inquinante avvicinandosi al centro. Le reti di trasporto radiocentriche sono la regola nelle città europee e nella maggior parte dei paesi in via di sviluppo.
Il secondo tipo di rete, quello a griglia multipolare, è presente soprattutto nel nord-america. Esso è legato al precoce sviluppo del traffico automobilistico privato, che non riuscendo a convergere tutto sul centro principale ha da tempo stimolato la formazione di sub-centri alternativi e di un sistema di autostrade urbane che li connette fra loro. Ne deriva una rete di trasporti a maglie larghe, tendenzialmente quadrilatere.

La morfologia urbana
Tradizionalmente si individuano tre grandi tipologie di città basate sulla forma geometrica del reticolo viario: a scacchiera, radiocentrica, e lineare. Rimangono fuori da questa rudimentale classificazione sia certe forme regolari particolari (poligonali, miste quadrangolari e triangolari, stellari..) sia forme apparentemente irregolari o addirittura labirintiche. Le classificazioni geometriche fanno capire i processi storico-geografici di una città: esempio la pianta a scacchiera rivela un’origine romana (Torino) o un’origine “franca” medievale. Inoltre è difficile che una città presenti una morfologia omogenea. In genere morfologie diverse si sono giustapposte e talvolta sovrapposte nel corso della storia, dando luogo a cesure e discontinuità nel tessuto urbano. Sovente la forma della pianta muta con i confini amministrativi delle diverse municipalità o passando da parti regolate da piani urbanistici a parti di urbanizzazione spontanea.

Aree di gravitazione e di influenza
Area di attrazione o di gravitazione si riferisce alle funzioni di una città che generano spostamenti pendolari di popolazione da altre località. Tra questi sono particolarmente importanti i flussi di pendolarità giornalieri (lavoro, studio) o quelli che riguardano funzioni commerciali e di servizio, a cui accede normalmente la grande maggioranza della popolazione. L’area di attrazione si delimita dividendo il territorio in tante località (comuni ad esempio) e comprendendovi tutte quelle da cui hanno origine flussi abituali di persone verso la città stessa. Se queste località sono contigue o quasi, l’area sarà unica e disposta attorno alla città considerata. In altri casi l’area di gravitazione potrà essere discontinua e anche non adiacente alla città
Ogni località urbana x, in cui è presente la funzione attrattiva considerata, attirerà più popolazione propria e delle altre località y, quanto più sarà grande la sua offerta di quella funzione e quanto più le altre località saranno vicine. Se consideriamo una data x, avremo allora un’area circostante più ristretta dove essa eserciterà un’attrazione esclusiva, poi un’area dove la sua attrazione si esercita assieme a quella di altre x, ma è prevalente su di esse. Col crescere della distanza tale prevalenza cesserà e infine cominceremo a trovare delle x che non gravitano più. Questo è il limite massimo.
L’area di influenza di una città differisce dalla semplice area di attrazione, in quanto riguarda funzioni e interazioni che non necessariamente generano movimenti pendolari. Si tratta piuttosto di funzioni culturali e direzionali, come lo storico dominio sul contado attraverso il possesso della terra da parte della classe borghese urbana, l’irraggiamento di innovazioni e idee, e l’influenza ideologica. L’area di influenza della città ha caratteristiche analoghe a quelle dell’area di attrazione.

Il sistema territoriale urbano
Come abbiamo visto, ogni funzione urbana genera infatti interconnessioni a scala regionale, nazionale e internazionale. Tali relazioni si presentano particolarmente fitte in quelle che abbiamo chiamato aree di gravitazione e di influenza. Se sovrapponiamo le aree di questo tipo generate dalle diverse funzioni di una città individuiamo attorno ad essa un sistema territoriale di raggio variabile dai pochi chilometri per le città piccole a parecchie decine per quelle più grandi. Si tratta di una formazione complessa, policentrica e discontinua dal punto di vista dell’occupazione del suolo con parti dense alternate a spazi di rarefazione. L’espressione che oggi tende a compendiare quest’insieme di concetti è quella di sistema territoriale urbano.
Se la città va pensata come un sistema territoriale aperto a scambi con l’esterno, ciò presuppone che tale sistema abbia un confine. Quest’ultimo viene normalmente definito con i metodi della regionalizzazione funzionale. Individuato un insieme di luoghi e di interazioni funzionali che li collegano, si considerano appartenenti a uno stesso sistema urbano quei luoghi la cui interazione reciproca è superiore a quella che ciascuno di essi ha con altri luoghi. Misurando l’interazione in flussi si può dire che il sistema territoriale urbano è delimitato in modo da massimizzare l’autocontenimento areale dei flussi.

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